Vacanza energizzante come dice Checco!
E dal titolo si può già capire il perché....
I mojitos e le birre sono stati molti, per fortuna più della tachipirina che comunque non è mancata...
Ma, cominciando dall'inizio, abbiamo quasi rischiato di non partire perché facendo il check in all'aeroporto di Xiamen abbiamo scoperto che il passaporto della Fede scade il 3 agosto 2015, di conseguenza è privo dell'unica caratteristica richiesta per entrare nelle Filippine, ovvero una validità residua di almeno sei mesi.... Per dieci giorni la Fede non poteva partire!
Nessun problema, ci dice la hostess. Lei resta qui ma voi non dovete preoccuparvi perché su quattro passeggeri uno solo ha questo incoveninte, gli altri possono procedere, prego....
Ma stai bene? Secondo te lascio mia figlia qui con il pesce rosso per due settimane? (Sì perché in tutto questo ci eravamo dimenticati del pesce rosso e non abbiamo saputo pensare di meglio che liberarlo nel piccolo stagno dell'aeroporto...) .
La hostess comincia a chiamare i suoi superiori, noi il Consolato italiano in Cina perché quello a Manila non risponde. Ci dicono che possiamo tentare, l'ingresso della Fede sarà a discrezione della dogana nelle Filippine che sono in ogni caso uno stato amico dell'Italia... Decidiamo di provare, con la poco incoraggiante notizia che due giorni prima era successa la stessa cosa a una coppia cinese poi rimandata a Xiamen il giorno seguente... Ma considerando che le Philippines Airlines avevano dovuto pagare una multa per aver preso a bordo dei passeggeri non in regola, questa volta si tutelano e ci fanno firmare una dichiarazione con tanto di fotocopia del passaporto e della carta di credito dove acconsentiamo, in caso di sanzione, a risarcirli con 1000 euro! Buon viaggio ci augurano, se aveste avuto del contante però sarebbe stato meglio......
Potete immaginare il nostro umore durante il viaggio.... Tra lacrime e studio di tattiche per passare alla dogana.
Che poi, arrivati all'assurdo aeroporto di Manila, tutto si è risolto con quattro, dico 4, timbri sui nostri passaporti dopo una breve pausa di riflessione sul documento della fede e le dita dell'impiegato che tamburellavano sulla scrivania contando i mesi..... Evviva i paesi amici!
Perché assurdo?
Perché sembra di essere in una piccola cittadina del Sud America e non in una metropoli asiatica. L'aeroporto è molto grande ma suddiviso in vari terminal lontani tra loro e non collegati. Perdersi o fare ritardo è normale, quindi alle file per il controllo passaporti e bagagli passano ogni tanto degli incaricati con dei cartelli con i nomi delle città di destinazione, invitando chi deve partire a saltare la fila per sbrigarsi. Oppure vedi girare hostess con elenchi cartacei che chiamano persone e poi spuntano i nomi a penna, celebrando l'era della tecnologia!
I nastri dei bagagli non collegano un terminal con l'altro, quindi se hai un aereo successivo che parte da un terminal diverso devi recuperare le tue valigie da solo... E invece dei normali carrelli ci sono quelli degli hotel, avete presente quelli come nei film?
A Manila ci siamo fermati una notte.
La città è grande e colorata, muri viola, azzurri, verdi, famiglie poverissime per strada che dormono, si trascinano, grattacieli vuoti, tutti parlano inglese. Il traffico è pazzesco, si procede lentissimi su strade affollate.
Il giorno dopo eravamo in ritardo e il taxista per non farci perdere l'aereo ha deciso di prendere l'autostrada. Una lingua di asfalto che attraversa la città. Deserta. In autostrada non c'era una macchina, nessuno.
Il giorno dopo eravamo in ritardo e il taxista per non farci perdere l'aereo ha deciso di prendere l'autostrada. Una lingua di asfalto che attraversa la città. Deserta. In autostrada non c'era una macchina, nessuno.
Un po' inquieti abbiamo chiesto perché. Perché il pedaggio è di 50 pesos. Un euro.
Questo sembra valere la vita qui, se ti soffermi su certi volti.
Poi con i bambini tutto passa e non hai nemmeno tempo per troppi pensieri quando la tua isola ti aspetta... Però senti che rimangono lì, non vanno via. Cerchi di dare un valore a quello che hai, insegnare a non avanzare il cibo, non sprecare l'acqua, usare solo quello che davvero serve, passare i vestiti piccoli ad altri bambini o in beneficenza. Gesti che una famiglia può fare e insegnare...
E la nostra isola ci aspetta davvero.
Bella, facile, rilassante. Spiaggia bianca, palme a fare ombra da un sole assoluto. Acqua turchese.
La Fede trova subito amichette con cui giocare, Emma e Mia in particolare. Con l'inglese è immediato e ci sono tante famiglie di espatriati come noi, alcune che vivono in Cina e sono in vacanza per lo Spring Festival come noi, con i bimbi che frequentano la scuola internazionale come noi.
Con Mia credo che sia stato amore a prima vista da parte di Diego. Ancora adesso, in un qualsiasi momento della giornata ad un certo punto lui la chiama. MIA MIAAAA dice, con gli occhietti dolci. E poi sussurra una frase tipo "non so" per rispondere alla domanda "dov'è Mia"?.
Dopo qualche giorno dal nostro arrivo Pasquale, Deborah, Filippo e Lorenzo ci hanno raggiunto da Shanghai! Che bello tutti insieme!
I bimbi hanno giocato benissimo e il numero dei mojitos è aumentato esponenzialmente!
E poi com'è rilassante... Ogni tanto qualcuno piange, dorme, fa la cacca, cade... Ma siamo insieme, tutto passa!
E io e Deborah come eravamo soddisfatte quando a piangere non erano i nostri, quando a fare i capricci per una volta tanto era qualche altro bimbo....Ahahahahahah
Per quanto riguarda la tachipirina, invece, ecco l'elenco:
- prima dose alla Fede, la prima notte a Manila, per febbre a 38 poi sparita
- segue Diego al quinto giorno di vacanza, per febbre e tosse che se ne andranno solo con l'antibiotico. Peccato che dal primo giorno di febbre Diego non abbia più voluto toccare la sabbia...
- terza dose a Fede che una notte si sveglia piangendo disperata per il male all'orecchio destro, poi misteriosamente scomparso così come era apparso
- seguo io con torcicollo esattamente il giorno prima di partire, quello in cui devi fare tutte le valigie e il solo pensiero di dover prendere due aerei senza poter nemmeno girare il collo per il dolore ti fa...sorridere?
- chiude Filippo con febbre alta gli ultimi due giorni di vacanza
Io e Deborah abbiamo eletto la tachipirina farmaco preferito in assoluto!
Mentre il gadget della vacanza è stato il "selfie stick", che in italiano suona più o meno come "bastone per scattarsi delle foto". Tutti con questa mania di scattarsi dei primi piani o di farsi dei video, però per far sì che non vengano mossi o sfuocati ci vuole la prolunga del braccio, il selfie stick appunto. Da non credere.
I più impazziti per questo oggetto sono ovviamente i Cinesi, seguiti dai Russi.
In Italia c'è già questa moda? Fatemelo sapere, altrimenti vi porto dei bastoni per autoscatto....AIUTO!!!! Nel nostro albergo c'era un russo che ogni mattina, a colazione, si autofaceva dei video....qualcuno mi ha detto che questo è l'anno della tecnologia portabile, cioè delle innovazioni che ti porti addosso perché si possono letteralmente indossare...orologi che contano i passi che fai, le calorie che consumi, la massa grassa e a fine giornata mettono tutto in automatico in Excel mandando una mail al tuo portatile.....vabbè, lasciamo stare, io non credevo nemmeno nelle email e adesso mi ritrovo a scrivere un blog....però vi prego, questa cosa del selfie stick è davvero inutile...

Il mondo cambia. A Boracay abbiamo avuto modo di scambiare due parole con il Signor Mario, italiano che vive nell'isola da 36 anni, mai rientrato nel suo paese e ormai in là con l'età. Mario ha due ristorantini sulla spiaggia, un ostello e della terra edificabile. Dice che Boracay è cambiata moltissimo negli anni, per lui in peggio perché da isola deserta è diventata centro del business turistico....A noi è sembrata perfetta per una vacanza con bambini piccoli; certo le agenzie e i tour operator dovrebbero diversificare e proporre anche altre destinazioni, aiutare a distribuire la ricchezza, far conoscere mete differenti, nell'interesse di tutti, viaggiatori, locali...
Pare che a breve metteranno il numero chiuso al numero di turisti ammessi a Boracay.
Stiamo diventando il mondo dei numeri chiusi.
All'università, ai corsi post laurea, nelle isole tropicali...
In tutto questo il Signor Mario, che tanto si lamenta, sta valutando di vendere la sua attività per 15 milioni di euro a dei...Cinesi....
E' questo che a me spaventa. Non il turismo di massa (si può sempre scegliere), non il numero chiuso (se vali eccelli, se ci credi ce la fai), ma i Cinesi.
Se davvero compreranno Boracay la trasformeranno per sempre in qualcosa di replicabile, riconoscibile e identico a mille altre città che hanno già comprato. Con il loro cattivo gusto distruggeranno per ricostruire qualcosa di finto.
Questo mi atterrisce.
In Cina ogni città è uguale all'altra. I cartelli alle fermate degli autobus, gli uffici governativi, le piastrelle che si usano per ricoprire i muri, tutto è uguale. Tutto deve insegnare a pensare il meno possibile, a sentirsi a casa anche se per costruire un'autostrada ti spostano a 1.500 km di distanza da dove abitavi prima. Tutto deve essere omologabile, non discutibile.
Si fa così. Le stazioni si fanno così. I ponti cosà. Un modello da applicare a tutto. Una sola testa che pensa e le altre che devono soltanto eseguire.
Ogni tanto sentiamo il bisogno di uscire da questo paese che pure amiamo per respirare un'aria diversa, per vedere dei muri colorati, una casa differente. Per riaffermare, anche con i fatti e non solo con il pensiero, che si può fare una scelta che non sia uguale per tutti, che tu puoi avere le persiane verdi e io blu. Oppure le treccine e un tatuaggio all'hennè, grande e sulla spalla...
Qui in Cina non è scontato, e se nasci e cresci vedendo sempre le stesse cose, le stesse forme, gli stessi suoni, lo è ancora meno.
Senz'altro Boracay è stata un'iniezione di colori, di cieli, di aria buona.
Poi alla Cina ognuno reagisce come può.
Checco, per esempio, si rifiuta di imparare la lingua. E' più forte di lui. La lascia fuori, non vuole farla entrare per mantenere la distanza da un certo modo di pensare. Ma lo capisco in fondo, dover lavorare tutti i giorni con persone così diverse può atterrire.
Ecco un pezzo di dialogo di ieri, in taxi.
Io sto spiegando al taxista che Checco scende mentre io proseguo fino a Si Bei.
- Checco "Cosa gli hai detto? Cosa vuol dire WO"?
- Vale "Checco....cavolo....vuol dire IO"!!!!!!
Due anni spesi bene!!!!Ahahahahahahha
Baciiiiiiiiiiiiiiiiii alla prossima!!!!!!
- segue Diego al quinto giorno di vacanza, per febbre e tosse che se ne andranno solo con l'antibiotico. Peccato che dal primo giorno di febbre Diego non abbia più voluto toccare la sabbia...
- terza dose a Fede che una notte si sveglia piangendo disperata per il male all'orecchio destro, poi misteriosamente scomparso così come era apparso
- seguo io con torcicollo esattamente il giorno prima di partire, quello in cui devi fare tutte le valigie e il solo pensiero di dover prendere due aerei senza poter nemmeno girare il collo per il dolore ti fa...sorridere?
- chiude Filippo con febbre alta gli ultimi due giorni di vacanza
Io e Deborah abbiamo eletto la tachipirina farmaco preferito in assoluto!
Mentre il gadget della vacanza è stato il "selfie stick", che in italiano suona più o meno come "bastone per scattarsi delle foto". Tutti con questa mania di scattarsi dei primi piani o di farsi dei video, però per far sì che non vengano mossi o sfuocati ci vuole la prolunga del braccio, il selfie stick appunto. Da non credere.
I più impazziti per questo oggetto sono ovviamente i Cinesi, seguiti dai Russi.
In Italia c'è già questa moda? Fatemelo sapere, altrimenti vi porto dei bastoni per autoscatto....AIUTO!!!! Nel nostro albergo c'era un russo che ogni mattina, a colazione, si autofaceva dei video....qualcuno mi ha detto che questo è l'anno della tecnologia portabile, cioè delle innovazioni che ti porti addosso perché si possono letteralmente indossare...orologi che contano i passi che fai, le calorie che consumi, la massa grassa e a fine giornata mettono tutto in automatico in Excel mandando una mail al tuo portatile.....vabbè, lasciamo stare, io non credevo nemmeno nelle email e adesso mi ritrovo a scrivere un blog....però vi prego, questa cosa del selfie stick è davvero inutile...
Il mondo cambia. A Boracay abbiamo avuto modo di scambiare due parole con il Signor Mario, italiano che vive nell'isola da 36 anni, mai rientrato nel suo paese e ormai in là con l'età. Mario ha due ristorantini sulla spiaggia, un ostello e della terra edificabile. Dice che Boracay è cambiata moltissimo negli anni, per lui in peggio perché da isola deserta è diventata centro del business turistico....A noi è sembrata perfetta per una vacanza con bambini piccoli; certo le agenzie e i tour operator dovrebbero diversificare e proporre anche altre destinazioni, aiutare a distribuire la ricchezza, far conoscere mete differenti, nell'interesse di tutti, viaggiatori, locali...
Pare che a breve metteranno il numero chiuso al numero di turisti ammessi a Boracay.
Stiamo diventando il mondo dei numeri chiusi.
All'università, ai corsi post laurea, nelle isole tropicali...
In tutto questo il Signor Mario, che tanto si lamenta, sta valutando di vendere la sua attività per 15 milioni di euro a dei...Cinesi....
E' questo che a me spaventa. Non il turismo di massa (si può sempre scegliere), non il numero chiuso (se vali eccelli, se ci credi ce la fai), ma i Cinesi.
Se davvero compreranno Boracay la trasformeranno per sempre in qualcosa di replicabile, riconoscibile e identico a mille altre città che hanno già comprato. Con il loro cattivo gusto distruggeranno per ricostruire qualcosa di finto.
Questo mi atterrisce.
In Cina ogni città è uguale all'altra. I cartelli alle fermate degli autobus, gli uffici governativi, le piastrelle che si usano per ricoprire i muri, tutto è uguale. Tutto deve insegnare a pensare il meno possibile, a sentirsi a casa anche se per costruire un'autostrada ti spostano a 1.500 km di distanza da dove abitavi prima. Tutto deve essere omologabile, non discutibile.
Si fa così. Le stazioni si fanno così. I ponti cosà. Un modello da applicare a tutto. Una sola testa che pensa e le altre che devono soltanto eseguire.
Ogni tanto sentiamo il bisogno di uscire da questo paese che pure amiamo per respirare un'aria diversa, per vedere dei muri colorati, una casa differente. Per riaffermare, anche con i fatti e non solo con il pensiero, che si può fare una scelta che non sia uguale per tutti, che tu puoi avere le persiane verdi e io blu. Oppure le treccine e un tatuaggio all'hennè, grande e sulla spalla...
Qui in Cina non è scontato, e se nasci e cresci vedendo sempre le stesse cose, le stesse forme, gli stessi suoni, lo è ancora meno.
Senz'altro Boracay è stata un'iniezione di colori, di cieli, di aria buona.
Poi alla Cina ognuno reagisce come può.
Checco, per esempio, si rifiuta di imparare la lingua. E' più forte di lui. La lascia fuori, non vuole farla entrare per mantenere la distanza da un certo modo di pensare. Ma lo capisco in fondo, dover lavorare tutti i giorni con persone così diverse può atterrire.
Ecco un pezzo di dialogo di ieri, in taxi.
Io sto spiegando al taxista che Checco scende mentre io proseguo fino a Si Bei.
- Checco "Cosa gli hai detto? Cosa vuol dire WO"?
- Vale "Checco....cavolo....vuol dire IO"!!!!!!
Due anni spesi bene!!!!Ahahahahahahha
Baciiiiiiiiiiiiiiiiii alla prossima!!!!!!